“La nottata? Non ho dormito granché”. Impossibile farlo. Troppe emozioni. Troppa adrenalina. Un Marcell Jacobs esagerato a Torun si gode il “day after” dell’impresa che ha già segnato in chiave azzurra (e non solo) l’edizione degli Euroindoor in Polonia. “Non riuscivo ad addormentarmi, avevo mille pensieri per la testa – ammette – e centinaia di messaggi sul telefono ai quali sto cercando di rispondere. Sì, devo ancora realizzare cosa sia successo davvero”.

Il giorno dopo, è il momento per scoprire il mondo di Jacobs. Un mondo che è ritratto anche sulla pelle, raccontato dai tatuaggi, marchio di fabbrica dell’azzurro campione d’Europa dei 60 metri col record italiano di 6.47. Talmente tanti da perdere il conto, ma ognuno con un significato specifico: “Il primo è quello sul costato, l’ho fatto anni fa insieme ai miei due migliori amici. È una frase sull’amicizia. Tra gli altri tatuaggi, adoro la tigre sulla schiena: è il mio animale preferito, solitario ma in grado di graffiare. E poi tanti altri. Un mappamondo perché mi piacere essere cittadino del mondo. Una rosa dei venti in mezzo allo sterno per non perdere mai la bussola. Sul braccio destro il Colosseo e un gladiatore che rappresentano il mio periodo ‘romano’ tra Flaminio e Fleming. I nomi e le date di nascita dei miei figli. Un’ancora, fatto insieme alla mia compagna. Ecco, forse l’unico ‘sciocco’ è questa scritta sul petto, Crazylongjumper: è così che mi chiamo su Instagram…”.

Dagli Stati Uniti all’Italia, cosa resta del Jacobs americano? “Gli Usa ce li ho nel sangue e nelle fibre veloci, anche se in realtà sono soltanto nato lì, da papà americano e mamma italiana, che poi si sono lasciati. A un anno e mezzo ero già arrivato a Desenzano del Garda: mi sento italiano al 100%, sono cresciuto in Italia e ho sempre vissuto con la mentalità italiana. Pensate che sto ancora imparando l’inglese, per fortuna in questi giorni mi ha dato una mano il mio compagno di stanza, lo staffettista Robert Grant”. La vita di campione d’atletica che si mescola alla vita privata, alle responsabilità di padre (tre figli, uno dei quali avuto a 19 anni) e di figlio: “Con mio papà non ci siamo sentiti per tanti anni, lo consideravo un estraneo – si apre Marcell – mi cercava su Facebook e non rispondevo. Per fortuna ultimamente, anche grazie al lavoro con la mia mental coach, si è ricreato un rapporto. E lo andrò a trovare negli Usa”.

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