di Alessandro Tozzi

Kaiser Franz era nato appena finita la guerra, l’11 settembre 1945, un mese dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki.
Cresciuto nei ragazzi del Bayern Monaco, nasce centrocampista, ed è lì che lo incrociamo per la prima volta, in quella semifinale dell’Atzeca, la mitica Italia Germania 4/3 tutto attaccato, dove gioca per buona parte dell’infinito match con il braccio al collo per la lussazione della spalla, solo a scriverlo la spalla fa male anche a me.
Negli anni 70′ retrocede a libero, ed è lì che scrive la storia del calcio, con la vittoria dell’Europeo del 1972, del Mondiale del 1974 e di tre Coppe dei Campioni in sequenza, con la ciliegina di due Palloni d’Oro, impresa mai più riuscita a nessun altro difensore nella storia.
La finale del 1974, in particolare, segna la vittoria contro quella che sembrava la squadra più forte di quegli anni, l’Olanda di Crujff, che sbatte nel secondo tempo contro quella difesa, e quella squadra, anch’essa eccezionale: Maier, Breitner, Overath, Netzer, Muller, Hoeness.
Lascia la Nazionale e la Germania nel 1977, approdando ai Cosmos di Pelè e Chinaglia come ambasciatore europeo del bel calcio; non staremo a raccontare per l’ennesima volta tutto il meravigloso l’aneddoto di Chinaglia che sgrida Pelè perchè lui sa far gol meglio del brasiliano che è bravo solo a fare gli assist (1281 gol in carriera lo testimoniano del resto), e il Kaiser che chiosa “non avrei pensato di veder piangere il calciatore più forte del mondo”, scomparso anche lui appena un anno fa.
Torna in Germania appena in tempo per vincere uno scudetto con l’Amburgo nel 1982 (proprio quell’Amburgo che l’anno dopo batterà la Juve ad Atene), poi subito c’è per lui la panchina della Germania, con due finali mondiali, 1986 e 1990, una vinta e una persa contro l’Argentina.
575 partite col Bayern, 103 in Nazionale, un centinaio di gol in totale, bastano a raccontare la storia di Kaiser Franz, che nel 1966 doveva vestire la maglia dell’Inter; non un giocatore della nostra generazione, anche se quel Kaiser Franz quando vedevi un libero a testa alta ce lo siamo portato avanti per anni, da Franco Baresi in poi.
Il suo merito è aver portato grande dignità ad un ruolo, quello del libero, che prima di lui era stato costruito più per ruvidi difensori palla o gamba che per fini dicitori di gioco a testa alta, e possiamo dire che il suo esempio ha sdoganato centinaia di liberi talentuosi (uno per tutti: Scirea) che fino alla sua consacrazione non avrebbero mai giocato in quel ruolo, perchè quello era il ruolo del giocatore tenace che si abbassava in difesa a fine carriera per allungarla.
Lo serbiamo nel cuore con quel braccio al collo, quasi come fosse anche lui un gol dell’Italia (oggi lo piange anche Riccione, dove è andato per anni in vacanza, quando i calciatori erano esseri umani come noi anche se erano Palloni d’Oro), e lo rivediamo sereno come fosse uno che aspetta un tram alla fermata e sembra non stia giocando una semifinale mondiale a 2000 metri di altezza.
Ti sia lieve la terra Kaiser.
E poi lassù state facendo una squadra molto più forte dei Cosmos, prima o poi la veniamo a vedere.

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