di Alessandro Tozzi
Agostino era nato l’8 aprile del 1955 a Roma, quartiere Tor Marancia.
Debutta in serie A nel 1973, passa un anno al Vicenza in B poi torna a Roma collezionandovi 237 partite in serie A con la maglia giallorossa, 89 col Milan e 25 col Cesena, per poi chiudere a Salerno in C1 riportando la squadra in serie B, per un totale complessivo di 575 partite e 115 gol.
Uno di quei campioni che non ha mai visto la Nazionale come tanti altri dell’epoca, epoca di un calcio senza stranieri per tutti gli anni ’70 fino all’arrivo dei primi, che nella Roma fu Falcao.
Diventa capitano della Roma nel 1980 all’uscita di Sergio Santarini, e ci rimane fino alla finale di Coppa Italia del 1984 vinta col Verona, di poche settimane successiva alla famosa notte del 30 maggio col Liverpool, nella quale per 55 secondi dopo il suo rigore segnato è Campione d’Europa.
Poi segue Liedholm al Milan, per lui non c’è spazio nella nuova Roma di Eriksson (che poi 16 anni dopo vince lo scudetto a Roma con Mihajlovic regista difensivo, come cambiano le idee degli allenatori oltranzisti nel corso degli anni); certamente non fu un addio facile se pensiamo alla sua rabbiosa esultanza dopo un gol in Milan-Roma e a una orrenda scazzottata con Ciccio Graziani in un Roma-Milan, forse scorie di quella notte di Coppa mai dimenticata, chissà.
Scorie che Ago si porta dietro per anni, se è vero che si uccide il 30 maggio del 1994, a 10 anni esatti da quella finale, con un colpo di pistola.
Perchè l’amore è un colpo di pistola, canterà tanti anni dopo Brunori Sas, ma a distanza di 30 anni nessuno ha ancora capito quel gesto sul quale Sorrentino ha costruito parte del suo primo film “L’uomo in più”, l’abbiamo solo messo da parte nella coscienza, senza fare pettegolezzi come chiese Cesare Pavese nel biglietto che lascia prima di suicidarsi, o battute becere fra tifosi: ogni tanto il tifo, che è una guerra senza fine, ha le sue tregue, Gabriele Sandri docet.
Sabato la Tribuna Tevere romanista lo ha salutato con una immagine, una delle sue temibili cannonate, e tutto lo stadio si è fermato quasi fosse un non luogo e non uno stadio festante che aspettasse un derby finito poi a colpi di sorcio: “I veri capitani possono morire o decidere di morire, ma nessuno può dimenticarli”, scriverà di lui 20 anni dopo Gianni Mura.
“Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”: ciao Ago.

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